Il 25 marzo 1957 i Trattati di Roma istituivano la Comunità Economica Europea. Anche l’Arci nel maggio del 2017 festeggia i propri sessant’anni, e anche per questa coincidenza di età sente ancora più forte e vicino l’anniversario del primo passo verso l’integrazione europea, rappresentato dalla firma dei Trattati di Roma e per questo il 25 marzo sarà impegnata a porre le basi per costruire una nuova Europa, unita e solidale. Chi ha costruito l’Arci ci ha tramandato la memoria del fatto che mai come in questi sessanta anni le classi sociali operaie, bracciantili, disoccupate e contadine, per secoli sottomesse e convinte dalle élite della inevitabilità dell’odio trai popoli, si sono emancipate anche grazie a esperienze culturali come quella dell’Arci, che con i suoi circoli e le case del popolo, ha dato un contributo concreto verso l’affermazione dei nuovi diritti. Il sogno di chi aveva sperato nell’unità dei popoli dopo le guerre che avevano insanguinato il Vecchio Continente cominciava a realizzarsi. La Comunità Economica sanciva la prima forma di unità, volontaria e libera, tra popoli che per lungo tempo si erano combattuti. Chi appena pochi anni prima si era fronteggiato armi in pugno ora si prendeva per mano, a significare le speranze di un nuovo futuro, tanto più in quanto il continente era ancora disseminato di macerie, materiali e spirituali, derivanti dalle dittature e dai conflitti. L’Europa nei decenni in cui il processo di integrazione europea è andato avanti, si univa sempre di più sotto l’auspicio di una nuova e più consapevole cittadinanza, con un sentimento di fratellanza che abbatteva gli steccati della diffidenza e relegava nell’angolo antimoderno delle destre conservatrici l’idea nazionalista e protezionista. Intere generazioni dei paesi membri, quelle nate nell’Europa dei trattati di Roma, che per prime, dopo secoli, non conosceranno più l’orrore della guerra. I figli di questa Europa sono la generazione del programma Erasmus, che ha contribuito come mai prima a costruire una cittadinanza continentale globale, a partire dagli studi e dalla conoscenza, e a dare sostanza alla voglia di unità del continente. Si comincia a delineare un’Europa nuova della democrazia, dell’universalità dei diritti sociali e culturali, del welfare diffuso, del benessere economico e dell’accesso al consumo, dello sviluppo infrastrutturale e commerciale, un'Europa nuova della mobilità continentale, della liberazione dall’angoscia della sopravvivenza e dall’insicurezza del proprio destino. La caduta del Muro di Berlino, la riunificazione della Germania, la caduta del comunismo all’Est, la fine della guerra fredda e dell’incubo nucleare furono accolte dall’opinione pubblica continentale con favore, ma non segnarono un'approfondita riflessione politica né nella società né tra i Governi. L'incapacità di comprendere l’evoluzione che attraversavano i Paesi alle prese con una difficile transizione democratica dopo la fine del sistema comunista, portò al primo vero banco di prova per l’Europa col conflitto nella ex-Jugoslavia, evidenziando l'assenza di una politica comune. Da qui in poi la storia dell'Europa politica può essere descritta con la storia dei propri trattati che – pur ribadendo alti princìpi nella definizione della qualità democratica, dei diritti e delle libertà tradivano l'impossibilità di giungere a una Carta Costituzionale Europea condivisa e privilegiavano un approccio orientato allo sviluppo dei mercati in senso neoliberista. Quella stessa debolezza evidenziatasi nella costruzione istituzionale dell'Europa – che nascondeva una grande debolezza sul piano della costruzione politica della stessa – ha portato i frutti avvelenati che inesorabilmente sono maturati. Infatti, mentre il corso di unificazione della moneta e dei mercati interni faceva passi da gigante, il processo di allargamento a Est creava le condizioni per una forte competitività mondiale dell'Euro, la soppressione delle frontiere interne imprimeva un'accelerazione positiva nella mobilità dei cittadini e delle merci, l'evoluzione verso un Patto di Cittadinanza Europea stentava a prendere forma. L'incapacità di riformare in senso più democratico il processo decisionale delle istituzioni comunitarie, l'affermazione del primato dell'economia dei mercati e delle politiche monetarie a scapito di quelle di intervento pubblico a favore dei cittadini, l'ipertrofia burocratica e la deriva tecnocratica, l'insufficiente tensione verso un ruolo geopolitico di primo piano nel segno della pace e della solidarietà, hanno generato una disaffezione profonda in quella stessa opinione pubblica che solo qualche decennio prima aveva sposato con entusiasmo l'idea di una Europa unita e solidale. Oggi, a distanza di sessant’anni dai trattati di Roma, e ancor più di ieri, l’Europa sembra non solo aver tradito gli ideali di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, ma dà l'impressione di essere una pianta diversa rispetto alle radici dalla quale è nata. L’Europa è diventata il terreno privilegiato dell’ideologia liberista, decretata dall'establishment tecnocratico dal Trattato di Maastricht in avanti. L’affermarsi della globalizzazione economica ha favorito in Europa la crescita delle diseguaglianze sociali e la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, attraverso lo smantellamento dei diritti sociali, la realizzazione di imponenti politiche di privatizzazione dei servizi pubblici (inclusi settori come l’istruzione, la sanità, le forniture di energie e l’acqua), la realizzazione di un sistema generalizzato di competizione tra gli stati e tra gli individui. La crisi politica dell’Europa sembra oggi aver raggiunto il suo livello più critico e la crisi dei rifugiati ne è un esempio evidente, con tutte le spinte xenofobe e nazionaliste che porta con se. Il Mediterraneo, afflitto dal crescere dell’intolleranza, da guerre, dalla fame, da disastri ambientali e mutamenti climatici, obbliga, da anni, molte donne, uomini e bambini a migrare verso l’Europa. Europa che non sono è estranea alle cause che hanno generato i flussi migratori. Basti pensare a tutti gli interventi militari, illegittimi, e al grande volume d’affari generato dalla vendita delle armi. Tutto questo sta già producendo uno scontro tra politiche nazionaliste, di chiusura delle “frontiere”, xenofobe, e politiche di inclusione, che riconoscono a chi non ha diritti il diritto di avere diritti, senza strumentali distinzioni tra rifugiati e migranti economici. L’esito di questo scontro non è affatto scontato. La disintegrazione europea un pericolo reale, e l’egemonia di culture reazionarie è già una realtà in diversi paesi. E’ una prospettiva che non possiamo accettare, e che dobbiamo combattere con tutte le nostre forze e la nostra intelligenza. Non si riuscirà a sconfiggere le pulsioni razziste e nazionaliste e ad affermare i principi della solidarietà e dell’ospitalità senza affrontare la questione della frantumazione e del degrado sociale, della precarizzazione e della disoccupazione, dell'insicurezza sociale, originate dalle politiche di austerità attuate all’interno dei singoli Paesi europei. Così come non si può rinviare la necessità di affrontare il nesso tra politica monetaria e politica fiscale, che rappresenta uno dei punti cruciali per iniziare a avviare nuove forme e pratiche redistributive, indispensabili per ricostruire un’Europa politica e democratica. Abbiamo assistito in questi ultimi anni ad una inedita lotta di classe condotta da organizzazioni come la Troika (Commissione europea, BCE, FMI), che hanno imposto, a partire dalla Grecia, misure drastiche di austerità, con tagli notevoli allo Stato Sociale in ossequio al principio del pareggio di bilancio e condannando gran parte della popolazione alla povertà: diminuzione del reddito, delle pensioni, degli ammortizzatori sociali, aumento dei costi della sanità, dell’istruzione, dei servizi pubblici “privatizzati”. Per la prima volta si corre il rischio del concretizzarsi di una Europa a due velocità che contraddicendo i principi istitutivi e la storia dell’Unione affermerebbe una differenza tra paesi economicamente forti e paesi più deboli. Non vogliamo abbandonare l’idea di democratizzare l’Europa, riscrivendo i trattati e facendo significativi passi avanti nella direzione di una vera integrazione politica per ridurre le diseguaglianze, per favorire la coesione sociale e territoriale tra le differenti regioni d’Europa, di importanti politiche redistributive e a favore dell’occupazione, del rafforzamento del modello sociale europeo, di forti investimenti pubblici per la cultura, di maggiori impegni economici nella protezione dell’ambiente. L'Europa ha bisogno di un nuovo modello economico incentrato sulla crescita dell’occupazione, sulla ricerca, sul riassetto idrogeologico, sul risparmio energetico e sulle energie rinnovabili. La battaglia per rifondare l’Europa è possibile: abbandonando le politiche di austerità e gli strumenti che l’hanno fatta assurgere a principio base delle politiche europee, democratizzando la natura dei suoi poteri, legittimando e rendendo autorevoli i processi di governo, riaffermando il primato della politica sull’economia e trovando il giusto equilibrio tra la dimensione democratica della rappresentanza, della partecipazione e del conflitto. La partecipazione popolare, la riattivazione di una cittadinanza attiva europea e il coinvolgimento delle nuove generazioni sono il processo attraverso cui rilanciare e democratizzare l’Europa. Diritti sociali, civili e culturali, libera circolazione delle idee, sono i più grandi traguardi che dobbiamo preservare e ampliare. Questa è l’Europa che il prossimo 25 marzo vogliamo difendere, ed è a partire dalla nostra grande voglia di Europa che intendiamo dare un contributo a ripensarla, a rifondarla. E' con questo spirito che parteciperemo al corteo del 25 marzo, mobilitando tutte le nostre articolazioni territoriali e le nostre basi circolistiche.
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Agosto 2018
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