Venerdì 30 giugno per la Rassegna Arroccato nella Fabbrica, il TeatrOrtica presenta alle 21,30 alla Fabbrica delle Candele, l'ultima versione di "Omsa che gambe!", adattamento di Giorgio Casadei Turroni dal libro "Omsa che donne!" curato dalla Cgil di Faenza. La commedia ambientata alla fine degli anni 50, ha come protagoniste le operaie dell'Omsa, fra le prime donne alle prese con il lavoro in una grande fabbrica.Ma la noiosa ripetitività del lavoro non impedisce a queste operaie, interpretate da Claudia Lotti, Angela Miserocchi, Giulia Monti, Gabriella Morgagni, Silvia Saviotti e Elisa Scorzapioppo, di esprimere la loro femminilità, l'allegria, la propensione allo scherzo. Confidenze, pettegolezzi, interessi comuni cementano l'amicizia e la solidarietà fra le operaie, il loro far fronte comune nei confronti dell'ambiguo caporeparto, interpretato da Paolo Bassi, e del "padrone": il conte Mangelli, a cui dà voce Niccolò Boattini Pierantoni. Le operaie, seguendo i loro discorsi, si esprimono anche con dei cori di alcune canzoni popolari. Vi aspettiamo venerdì 30 alla Fabbrica delle Candele. In allegato il volantino della rappresentazione con tutti i dettagli.
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Approdato finalmente in Aula al Senato, dopo due anni trascorsi in commissione, l’approvazione definitiva del Codice antimafia rischia di slittare ancora. Una delle più importanti novità introdotte dal provvedimento, e cioè l’applicazione anche ai corrotti del sequestro dei beni e delle misure preventive, così come già accade con le mafie, ha scatenato l’ostilità di Forza Italia e delle destre, oltre che di quella parte di forze centriste che finora hanno appoggiato il governo. La via per bloccare ancora tutto potrebbe essere la richiesta di voto segreto, espediente di cui già si parla nel Palazzo per impallinare la nuova normativa. La legge in discussione ricalca in gran parte quella di iniziativa popolare “Io riattivo il lavoro” che, promossa da un ampio schieramento di associazioni, tra cui Arci, Cgil, Avviso Pubblico e Libera, è stata approvata dalla Camera in prima lettura nel 2015. Se il testo subirà modifiche (e alcune già sono state introdotte in commissione al Senato) dovrà tornare a Montecitorio per l’ulteriore approvazione e allora il suo cammino potrebbe interrompersi con lo scioglimento delle Camere. Chiediamo ai senatori un atto di responsabilità perché approvino la legge al più presto dato il rilievo che le sue norme hanno nel rendere più efficace la lotta alla criminalità organizzata, e non solo mafiosa. Non basta infatti dichiararsi a parole contro la mafia, è necessario dimostrarlo con atti concreti. L’approvazione di questa legge lo è. di Maria Chiara Panesi, responsabile nazionale Arci Laicità e diritti civili Partirà da Piazza della Repubblica il lungo corteo che attraverserà le strade della capitale per il Roma Pride di sabato 10 giugno. Un corteo colorato e festoso, composto da uomini donne e bambini che marcerà per i diritti delle persone omosessuali, transessuali, bisessuali e transgender sotto il segno di uno slogan che va dritto al segno: Corpi senza confini. «Mettere al centro i nostri valori, i nostri corpi, i nostri amori e la nostra libertà», questo recita il documento politico che tiene insieme rivendicazione e denuncia ponendosi a fianco di chiunque venga marginalizzato, discriminato o escluso a causa della propria diversità. Arci ha scelto ancora una volta di esserci, convintamente, contro ogni discriminazione e a difesa di pari diritti per tutti i cittadini. Di esserci camminando fianco a fianco, scegliendo di combattere le stesse battaglie ed alzando la voce insieme a tanti nostri compagni e compagne. Cammineremo insieme perché crediamo che ogni amore abbia diritto di vivere senza ostacoli, senza essere deriso, oltraggiato perché altri hanno deciso che è immorale e contro natura. Secondo quale morale e quale natura poi? Il Pride diventa dunque un momento fortemente simbolico, il momento delle lotta e dell’orgoglio, della visibilità, il momento in cui rivendicare il diritto di essere e di amare liberamente, alla luce del sole. Un momento ancora oggi necessario a quasi 50 anni dai moti di Stonewall, in una società che ancora nasconde e marginalizza, che non accetta la diversità e tenta di rimuoverla, come uno stigma, come qualcosa di socialmente inaccettabile. E sono ancora una volta le pagine di cronaca a parlare, a far cadere il velo su un paese che non riesce a domare i propri demoni. È il tema di un ragazzino di appena 12 anni vittima di bullismo omofobico ad inchiodarci alle nostre responsabilità, un atto di grande coraggio e di liberazione. Ivan, così lo abbiamo chiamato, ha scelto di rompere il silenzio e di raccontare la propria realtà fatta di umiliazioni tollerate in silenzio, di insulti e di botte subite dai compagni di scuola. «Sono diverso, non sbagliato», parole che colpiscono al cuore e mettono a nudo tutta la meschinità di una società che insegue la modernità ma non sa accettare la diversità. Un fallimento, per una società che non riesce a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo dell’uomo. Parole che chiamano a responsabilità e che non possono essere messe a tacere, una ferita aperta per la società intera. È per Ivan e per tanti ragazzini come lui che dobbiamo con fermezza scagliarci contro qualsiasi forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale e rivendicare piena uguaglianza costruendo modelli relazionali paritari, in cui nessuno debba sentirsi un passo indietro. Ed ecco allora che anche per questo il Pride diventa un appuntamento centrale, in cui le identità sessuali vengono espresse senza timori, in cui le persone rivendicano la libertà di essere, pensare, agire ed esprimersi senza costrizioni. L’esaltazione della libertà, quella libertà purtroppo per alcuni solo a tratti assaporata e soffocata dalla paura di uscire allo scoperto. Ma purtroppo c’è ancora chi, anche a sinistra, vede nei Pride una manifestazione provocatoria, una sorta di ostentata esibizione della diversità. Distogliendo evidentemente lo sguardo dal dato reale, che vede secondo un sondaggio dell’Unione europea del 2014 l’Italia al 1° posto nella classifica dei paesi più intolleranti. Il 10 giugno per le vie di Roma saremo anche noi #corpisenzaconfini, senza quei confini imposti da una società che si scaglia contro chi è diverso, che vuole imporre un’identità o soffocare una libertà. Corpi che non accettano i limiti imposti dalla cultura dominante e che rivendicano libertà, senza ostacoli né frontiere, #senzaconfini. Si è da poco concluso il primo G7 con Trump presidente degli USA. In una Taormina spettrale si è assistito alla messa in scena organizzata dai 7 ‘grandi’. Come già avvenuto a Roma al precedente vertice sull’ambiente, Trump non ha voluto confermare gli accordi di Parigi, sottoscritti da 184 paesi. Uno spreco di denaro infinito per mettere in scena una farsa con il sapore della sconfitta per tutti quei paesi che a Parigi si sono impegnati per la riduzione delle emissioni di CO2. Trump, infatti, a breve deciderà sull’uscita dai protocolli sul clima, infliggendo, di fatto, un colpo mortale alla lotta ai cambiamenti climatici così come, con le rigide politiche di chiusura e controllo dei confini, mortifica il progetto di una responsabilità condivisa nella gestione dei flussi migratori. Uno schiaffo alle politiche di Obama e all’Europa. Gentiloni, con toni molto morbidi e concilianti, ha affermato che il vertice «ha funzionato alla grande»; la Merkel ha usato parole chiare, di verità, definendo il summit «estremamente problematico, per non dire insufficiente». Sembra che il solo governo italiano, imprigionato nel ruolo di ‘padrone di casa’, non si sia accorto del fallimento del G7 di Taormina. Fallimento che segna probabilmente l’inizio della fine dei raduni dei grandi del mondo. Non servono concretamente a nulla e non hanno più neanche un valore simbolico, soprattutto considerando il numero crescente di convitati di pietra (Russia, Cina). Evidenziano unicamente le contraddizioni di alcuni governi, ad iniziare da quello italiano che dopo la firma degli accordi di Parigi nulla ha fatto per definire tempi e modalità stringenti di abbandono dei combustibili fossili a sostegno delle energie rinnovabili. Anzi, sono ancora più di 14 miliardi di euro all’anno i sussidi pubblici italiani alle energie fossili e il rapporto tra il governo italiano e le grandi multinazionali dell’energia è sempre più stretto. L’unico risultato raggiunto a Taormina è il duro colpo che è stato inferto alla democrazia italiana. Il Questore di Reggio Calabria, infatti, ha prima trattenuto e poi comminato il foglio di via obbligatorio, con divieto di far ritorno nel Comune di Villa San Giovanni (RC), senza preventiva autorizzazione e per tre anni, a decine di compagni che intendevano manifestare pacificamente contro le politiche neoliberiste. Un fermo preventivo che ricorda altre epoche ed altri governi. Un tentativo di criminalizzare il dissenso politico, ridurre gli spazi di partecipazione e rincorrere la destra sul terreno delle politiche securitarie. Mettere in campo la partecipazione popolare è essenziale per ricostruire nuovi spazi democratici, rinnovare gli strumenti di controllo e condivisione delle scelte che interessano le comunità, sconfiggere le politiche protezionistiche e negazioniste dei cambiamenti climatici, xenofobe e belliciste. Per questo e con questo spirito parteciperemo alla mobilitazione promossa da organizzazioni sociali e movimenti in occasione del G7 Ambiente di Bologna di metà giugno, per dar vita tutti insieme ad un modello alternativo all’attuale sistema economico che distrugge le risorse naturali, cancella lo stato sociale e concentra la ricchezza in poche mani. di Filippo Sestito, coordinatore nazionale Arci Ambiente, difesa del territorio, stili di vita fonte: http://forum.arci.it/editoriale/ |
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Agosto 2018
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