Arci sta per associazione culturale. Portiamo nel nostro acronimo attraverso quell’aggettivo non solo uno dei nostri tratti identitari più importanti, ma quella che oggi rappresenta una missione fondamentale per la costruzione di un mondo e di un’Italia migliore. È sulla conoscenza e la cultura che si fonda la propria percezione di sicurezza, di una visione del futuro, dell’idea di apertura invece che della chiusura, del dialogo anziché dell’odio, della curiosità anziché del sospetto, di relazioni sane e paritarie con l’altro sesso, anziché fondate su forza e violenza. È davvero inquietante quello che accade in alcune curve degli stadi italiani con comportamenti e pratiche antisemite, contro cui occorrerebbero iniziative di contrasto decisamente più forti.
Così come è grave, gravissimo che in un sussidiario per gli alunni delle elementari sia scritto che i profughi sono uguali ai clandestini, che «la difficile integrazione rappresenta una minaccia per il benessere degli italiani». È grave soprattutto perché sono frasi contenute in un manuale, in quello che dovrebbe rappresentare il modello dei linguaggi da usare dai nostri bambini quando saranno grandi. È giusto quindi che intervenga il Ministero per la Pubblica Istruzione, che i parlamentari facciano interrogazioni. Ci permettiamo di sottolineare però come la stessa attenzione debba essere data ai tanti gravissimi messaggi (nemmeno troppo subliminali) che nel linguaggio televisivo, dei media, giornalistico (per non parlare del web) ritroviamo quotidianamente e che attraversano ormai l’immaginario collettivo. Non solo sui migranti, ma sui diversi orientamenti di genere, sulla violenza alle donne, sulla disabilità e più in generale su ogni comportamento che non corrisponda a ‘schemi precostituiti’. È quello che facciamo noi, attraverso l’attività di migliaia di circoli e associazioni culturali. Con tenacia ogni giorno organizziamo momenti di formazione, occasioni di approfondimento culturale, presentazioni di libri, offriamo tantissima buona musica, spettacoli teatrali, cinema. Producendo un racconto diverso della realtà, provando a sconfiggere le paure e le insicurezze. Paure che trovano fondamento, oltre che in una crisi culturale, nella situazione di grande incertezza economica, in una più generale questione sociale che in questi anni ha prodotto un aumento della divaricazione tra ricchi e poveri, anche in Italia. Le misure contenute nella legge di Stabilità sono ancora insufficienti per combattere la povertà e per impostare una politica di investimenti che possa offrire una prospettiva di sviluppo di medio/lungo periodo. È all’interno di questa valutazione generale che abbiamo pensato fosse comunque utile introdurre una piccola ‘provocazione’, attraverso una richiesta simbolicamente significativa, oltre che da molti auspicata: quella contenuta nella campagna Ding Dong. L’idea cioè di poter detrarre fiscalmente le spese sostenute dalle famiglie per i corsi di apprendimento della musica, così come avviene per le attività sportive. Perché, come dice David Byrne «la musica è roba forte. Non si può toccare - esiste solo nell’istante in cui viene percepita - e tuttavia è in grado di mutare profondamente il modo in cui vediamo il mondo e il nostro posto al suo interno». Vogliamo insomma ribadire (e speriamo di farlo smuovendo anche un po’ di più il mondo della cultura italiano, talvolta un po’ dormiente) che il ‘benessere materiale’ di ogni persona passa anche dalla sua crescita culturale, oltre che da un corretto stile di vita; che agevolare l’istruzione musicale, più in generale far conoscere le arti, significa favorire la coesione, costruire indipendenza di pensiero, libertà e consapevolezza, quindi democrazia. ArciReport numero 33, 26 ottobre 2017
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