La Direzione nazionale dell’ Arci ha deciso di aderire alla raccolta delle firme per la ICE (Iniziativa dei cittadini europei) con l’obiettivo di chiedere alla Commissione Europea di mettere al bando l'uso del glifosato, un pesticida tossico, probabilmente cancerogeno, a favore di un'agricoltura più rispettosa dell'ambiente, dei lavoratori e di chi si trova ad assumere, suo malgrado, cibi sempre più contaminati.
Riteniamo necessario, quindi, fornire alcune informazioni a tutti coloro che non conoscono nel dettaglio l’iniziativa. Con la ICE si chiede alla Commissione Europea di proporre agli Stati membri l’introduzione del divieto di utilizzo del glifosato, di riformare la procedura di approvazione dei pesticidi e di fissare obiettivi di riduzione obbligatori al livello dell’UE per quanto riguarda l’uso degli stessi. Affinché la ICE sia cogente per la UE bisogna raggiungere almeno un milione di firme da raccogliere in almeno 7 stati dell'Unione, secondo degli obiettivi minimi per ogni Stato, entro ottobre. L’obiettivo che ci si propone di raggiungere per l'Italia è di 100.000 firme. E' possibile firmare online sul sito https://stopglyphosate.org/ ed è anche possibile scaricare, dallo stesso sito, i moduli di raccolta manuale. Vogliamo coinvolgere le basi associative e i comitati dell’Arci nell’adesione alla campagna, attraverso iniziative che potranno segnalarci al seguente indirizzo: presidenza@arci.it. In allegato troverete una descrizione della campagna che contiene tutte le informazioni dettagliate compresa l’indicazione delle organizzazioni promotrici e partner dell’iniziativa che facciamo nostra, nonché tempi, obiettivi e modalità di raccolta delle firme dell’ ICE. Francesca Chiavacci Presidente nazionale Arci Filippo Sestito Coordinatore Commissione Difesa del territorio, valorizzazione dei beni comuni, giustizia ambientale e stili di vita
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Per le donne che non hanno scelta e che quotidiniamente subiscono
Per le donne vittime di femminicidio Per le donne mortificate da giudizi estetici e morali (Sei brutta, sei grassa, troia, come ti vesti, sei un maschiaccio... continuate voi l'elenco) Per le donne che sono la parte portante del nostro welfare, che si prendono cura di anziani/e, bambini/e, intere famiglie senza nulla in cambio Per chi decide di essere madre e per chi decide di non esserlo Per le donne cui è negata la scelta della maternità Per le donne che “con una gonna così corta te lo sei meritato” Per le donne migranti, appese ad un permesso di soggiorno, respinte alle frontiere, detenute, sfruttate Per le donne ricattate dal precariato, discriminate sul posto di lavoro, sottopagate Per le donne che per quanto studino e si impegno non arriveranno mai ai livelli dei colleghi maschi Una cosa è certa: l’8 marzo 2017 non vedremo più solo mimose nelle piazze, ma il fiorire di iniziative animate da donne consapevoli per dire basta alla violenza contro le donne non solo del maschio ma del sistema, per rivendicare libertà e piena cittadinanza per le donne di tutto il mondo. Sarà una iniziativa globale promossa dalla rete di Non una di meno, dai sindacati e dalle storiche organizzazioni femminili come l’UDI che porterà alla ribalta attraverso cortei, assemblee e iniziative culturali la lotta contro il sistema oppressivo globale nei confronti del genere femminile.
Ci sono vari modi per aderire allo sciopero globale: vestirsi di nero con una fascia o una sciarpa fucsia, astenersi dal lavoro di cura della casa e della famiglia, astenersi dal consumo non comprando nulla e lasciando spente lavatrici e lavastoviglie, e soprattutto scendendo in piazza, aderendo alle manifestazioni indette dalle donne per riappropriarsi degli spazi della propria città e occuparla, questo l’invito di Non una di meno. Perchè? Perchè se le nostre vite non valgono, non produciamo, perché dalla violenza ci si protegge con la propria autonomia, perchè senza effettività nei diritti non c’è giustizia nè libertà per le donne, perchè sui loro corpi, la loro salute e il loro piacere siano le donne a decidere, perchè le donne siano libere di muoversi o di restare contro ogni frontiera, per distruggere la cultura della violenza attraverso la formazione, per rifiutare linguaggi sessisti e misogini, per dare spazio ai femminismi nei movimenti e costruire spazi politici antisessisti. L’iniziativa è globale perchè globalmente sempre di più le donne acquisiscono la consapevolezza di essere state a lungo escluse dal governo della terra che abitano e nella quale riproducono la vivibilità della specie. L’economia è stata costruita su un’astrazione, quella dell’uomo economico produttivo, ovvero il maschio, soggetto dominante nella rappresentazione culturale che cancella la realtà della differenza di genere. «La femminilizzazione della povertà, presente in tutto il mondo da sempre, torna oggi in forme nuove in quello che è stato definito lo sviluppo economico neoliberista, attraverso il controllo e il mutamento di significato sociale della presenza femminile, lo sfruttamento e l’assoggettamento dei corpi, l’uso della violenza e la manipolazione dell’immaginario. Vediamo che il carattere patriarcale della società è sopravvissuto a tutti i grandi mutamenti intrecciandosi ad ogni nuova forma dell’economia, dentro le leggi, dentro la forma dello Stato e delle istituzioni. Dobbiamo ricordare che la cittadinanza in Europa nasce proclamando libertà e uguaglianza, ma escludendo a lungo e in modo violento il genere femminile, per cui da due secoli le donne hanno dovuto affrontare lotte infinite». (cit. piattaforma UDI 2017). Quindi la battaglia è nel mondo, anche in Europa e in Italia dove ogni giorno i fatti di cronaca ci ricordano nuove forme di sfruttamento e subordinazione del lavoro e il rinascente sessismo che assieme ad omofobia e razzismo rilancia vuoti identitari che vengono affermati con la violenza. di Ornella Pucci, Consiglio Nazionale Arci http://arci.it/blog/diritti/8-marzo-2017-non-piu-solo-mimose/ Oggi la Camera ha approvato in via definitiva la proposta di legge che istituisce, il 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime di mafia. Sono passati più di due decenni da quel primo 21 marzo in cui in piazza del Campidoglio a Roma, furono ricordati i nomi delle tante, troppe vittime innocenti morte per mano mafiosa. Nel tempo questa è diventata un’iniziativa diffusa in tutta Italia, un modo per ricordare insieme, ma anche per rinnovare il nostro impegno, fatto di tante piccole e grandi iniziative, per la giustizia, la verità, la democrazia. Dalla Carovana antimafie ai campi della legalità, la nostra lotta contro la criminalità organizzata, in tutte le forme in cui si manifesta, è diventata ormai parte della nostra identità. Una battaglia che deve essere innanzitutto di carattere culturale, attraversare i luoghi del disagio, utilizzare strumenti diversi per trasmettere un messaggio di civiltà e di riscatto, di speranza nel futuro, soprattutto alle nuove generazioni. E’ quindi con soddisfazione che apprendiamo della decisione della Camera, ma siamo anche consapevoli che è solo un primo passo, per quanto di alto valore civile e simbolico. Ad esso si devono affiancare provvedimenti che garantiscano assistenza e protezione ai familiari di chi è stato soprafatto dalla violenza mafiosa, ma anche a chi al ricatto mafioso cerca di sottrarsi mettendo quotidianamente a rischio la propria vita. Non lasciamoli soli. Dichiarazione di Francesca Chiavacci, presidente nazionale Arci Roma, 1 marzo 2017 Roma, 1 marzo 2017Roma, 1 marzo 2017Roma, 1 marzo 2017Roma, 1 marzo 2017 Una sentenza che molti non esitano a definire storica. Per la prima volta viene riconosciuta anche in Italia a due uomini la possibilità di essere considerati padri di due bambini nati negli Stati Uniti grazie alla maternità surrogata.
Ancora una volta sono le aule di tribunale a riscrivere il diritto di famiglia, di fronte ad una politica perennemente in ritardo, incapace di leggere i cambiamenti che avvengono nella società e di dare risposte adeguate. Una politica che sceglie compromessi al ribasso piuttosto che condurre con determinazione battaglie di piena uguaglianza. La Corte di Appello di Trento, nella sua ordinanza, stabilisce un principio importantissimo e cioè l’assoluta indifferenza delle tecniche di procreazione cui si sia fatto ricorso all’estero rispetto al diritto del minore a veder riconosciuto il suo stato di ‘figlio’ nei confronti di entrambi i genitori che se ne sono presi cura sin dalla nascita nell’ambito di un progetto di genitorialità condivisa. L’ordinanza si rifà a una recente sentenza della Corte di Cassazione che esclude che nel nostro ordinamento l’unico modello di genitorialità previsto sia quello fondato sul legame biologico tra il genitore e il bimbo nato, mentre è prevalente il concetto di responsabilità genitoriale che si manifesta nella consapevole decisione di allevare con cura ed amore il bambino. La sentenza salvaguarda quindi il diritto del minore all'unità familiare, il diritto alla cura, ad essere amato e cresciuto da due genitori, indipendentemente dal loro sesso. E' la vita reale che a poco a poco avanza, sono i volti di tante famiglie che chiedono riconoscimento e tutele. E’ un chiaro invito alla politica a riscrivere l'impianto giuridico del diritto di famiglia, dando rappresentanza alle nuove famiglie e considerando prioritario l'interesse del minore a crescere in una famiglia unita, con i genitori che sin dalla nascita se ne sono presi cura e l’hanno amato. Oggi non possiamo che gioire per questa sentenza, insieme alle tante famiglie arcobaleno che chiedono tutele e riconoscimento. Ma questa sentenza ci dice anche quanta strada ci sia ancora da fare per avere una legislazione che tuteli davvero i diritti e la libertà delle persone. Dichiarazione di Francesca Chiavacci, presidente nazionale Arci Roma, 1 marzo 2017 |
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Agosto 2018
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